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Cosa succede a 40 anni?

Scritto da:

Elia Mercanzin

Non è un argomento particolarmente originale lo ammetto…ma stavo pensando: cosa succede all’essere umano occidentale medio quando arriva alla soglia dei 35 (per le signore) e dei 40 anni (per i maschietti) ? (Non mi basta “orologio biologico” e amenità simili come risposta).

“Si mette la testa a posto”, “si pensa al futuro”, “a metter su famiglia”, “perchè ci si è divertiti abbastanza” etc etc.

Potrebbe essere che invece dietro a queste formule (che contengono, per carità, inoppugnabili elementi di realtà) si nasconda una incofessata-inconfessabile e terribilmente più profonda consapevolezza?
Una consapevolezza edulcorata, attutita, sfuggente, rintanata nel fondo della mente, lì al buio: la morte è più vicina di prima e bisogna prepararcisi.

La preparazione consiste nel trovare un compagno di strada “per non essere soli”, porre le basi per la vecchiaia, fare (almeno) un figlio per (auspicabilmente) aver qualcuno che fra tot decenni possa accudirci, comprare casa per mettere radici e avere un tetto dove un giorno poter riposare le stanche ossa… e via così.
Non è progettualità preparatoria alla morte questa?
Solo questo inevitabile, inesorabile finale può far accettare agli esseri umani compromessi scomodi, insensati, masochistici.
Non entro troppo nel merito con esempi… tutti abbiamo in mente qualche moglie frustrata, mariti chiusi come leoni in gabbia, convivenze livorose, rinunce per quieto vivere, apparenze tenute in piedi con il chewing-gum… con vari livelli di intensità.

Ma anche senza far riferimento a situazione “estreme”… quanti mariti, quante mogli, quanti compagni, quante compagne, semplicemente, si accontentano?
Fanno valutazioni col bilancino, “tutto sommato dai…”, “in fin dei conti…”, “si tratta di scelte..”. E tutto perchè? Perchè “si pensa al futuro”, “a metter su famiglia”, “perchè si è in un’altra stagione della vita” ?
Secondo me è pragmatismo da “morti viventi”.

Tutto ciò è a suo modo “naturale”: influiscono anche elementi legati alla tradizione, al condizionamento familiare, al proprio vissuto personale ed è vero che non tutte le vicende portano ad esiti così deprimenti… per fortuna.

Ci sono esempi, infatti, di scelte di vita vissute e portate avanti nella gioia, nella condivisione “positiva”, nella crescita individuale prima che di coppia. Ma anche questo non è un modo di prepararsi “col sorriso” ad accogliere la morte?
Non è anche questo un modo di dare un senso a ciò che senso sembra non avere affatto?

La morte come elemento intrinseco alla vita è un soggetto che intellettuali, filosofi, pensatori e romanzieri di tutte le epoche hanno trattato ampiamente (per non parlare dei religiosi di varia estrazione…).

Non sarò certo io ad aggiungere prospettive innovative o ne tantomeno desidero addentrarmi in speculazioni filosofiche, figuriamoci…

Mi sto semplicemente interrogando sull’ombra che la morte proietta sulla dimensione “pratica” e “affettiva” dell’essere umano, su quelle scelte che a prima vista hanno connessione con  la parte “vitale”, “gioiosa” dell’esistenza ma che, se osservate in trasparenza, lasciano intravedere il legame con l’epilogo ultimo che inevitabilmente le condiziona nel profondo.

C’è chi esistenzialmente “tira i remi in barca”, cede le armi e arrendendosi all’incedere del tempo, rinuncia alle proprie passioni, le annacqua, le rinnega, si consegna placidamente alla routine del conosciuto, del noto, del rassicurante (più o meno piacevole), cominciando a morire proprio “nel fiore degli anni”… per non rischiare “sorprese”.

C’è anche chi chiude gli occhi e cerca di non pensarci, vivendo al meglio giorno per giorno (perchè poi.. mica è detto che la nera signora arrivi quando si è in ospizio…), cercando di portare a termine il percorso nel più sereno modo possibile.

Nessun giudizio “morale”: coloro che “tirano i remi in barca” li capisco…. pure quelli che accettano “compromessi”… ma è proprio per questo che mi verrebbe da urlare loro (e anche a me stesso a volte…) “ma che cazzo state facendo?!”
Vivete Cristo! Rischiate!
Che senso ha star lì a ponderare, soppesare… per arrivare a scegliere il male minore o il bene meno rischioso… E’ assurdo!

In ogni caso, alla fine, pragmatismo e coraggio finiscono nella stessa bara.

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