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L’ipocrisia del citofono e del barcone

Che differenza c’è tra postare sui social  ripetutamente ed esclusivamente toccanti storie di immigrati condite da sdegno verso i non-accoglienti e il condividere notizie più o meno trucide di performance criminali ad opera di  richiedenti asilo accompagnate da commenti livorosi?

Nessuna. Nessuna differenza.

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Il Problema (contro il quale unirsi)

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Tenerli sotto controllo non era difficile. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza dei problemi più grandi (George Orwell, 1984).

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L’individualismo salverà l’Italia?

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Ciò che manca è l’amore degli italiani per l’Italia.
Non è colpa degli “italiani”, poracci, perché esiste un problema strutturale: l’Italia “nazione” non c’è e non c’è mai stata.  Noi, i presunti “italiani”, intesi come comunità che si riconosce tale, non esistiamo. Ma c’è una speranza: il nostro pragmatico, atavico, inguaribile individualismo.

Sentirsi “nazione”, “connazionali”, è ben diverso dal possedere lo stesso passaporto, tifare la stessa “nazionale” e parlare – ufficialmente – la stessa lingua. Prevede la condivisione di un profondo senso del “noi”, di una serie di simboli, tradizioni, costumi e miti comuni. Prevede la garanzia di protezione fornita da un “qualcosa di più grande”, la fiducia nella solidarietà reciproca, un senso di fratellanza fra sconosciuti che non si può instillare artificialmente.
Gli italiani – la sommatoria delle genti italiche per meglio dire – semplicemente si sono ritrovati a convivere, senza sapere esattamente come e perché e senza preoccuparsi granché di non saperlo, a dire il vero.

L’Italia non è mai stata unita: è stata tenuta unita.

L’italiano contemporaneo, di fondo, è individualista, lo sappiamo tutti. Per tradizione atavica, per istinto. Un distillato dei mille campanili, dei principati, delle signorie, dei comuni per secoli indifferenti oppure, più spesso, ostili l’uno verso l’altro, esposti, come se non bastasse la conflittualità interna, a cicliche invasioni da oltralpe. Non c’è alcun giudizio morale in questo: semplicemente ciò che è stato in passato risuona in ciò che è oggi, è la natura del campo morfico della penisola italica, uno straordinario mosaico di diversità che processi storici e politici artificiali hanno costretto in un recinto comune.

L’italiano medio (userò questa etichetta per praticità e per non generalizzare troppo) nutre spontaneo amore verso la propria casa e la propria famiglia, il proprio paesello, la propria cittadina. Oltre il raggio dei 20 o 30 kilometri ci sono i forestieri, gente di cui diffidare, gente strana che parla in modo diverso, che si comporta e vive in modo diverso. Una potenziale minaccia. Chiedete ai livornesi dei pisani e viceversa. Ai leccesi dei baresi oppure ai veronesi dei vicentini.
Egli è certamente diverso dal suo corrispondente medievale. Si viaggia, si lavora, ci si sposa. Gli ultimi 70 anni di vita unitaria, mamma Rai, la scuola, l’emigrazione interna hanno mischiato le carte e smussato le asperità ma di fondo persiste quel senso di estraneità istintivo.  Un atteggiamento di diffidenza e pregiudizio pronto ad allentarsi dopo un brindisi o una chiacchierata, certo, ma che rimane latente, attivo in background, la cui forza è direttamente proporzionale alla distanza geografica tra le persone coinvolte.

L’italiano medio si preoccupa di sé e dei propri cari. Al massimo delle persone che sente a sé affini, somiglianti. Tutti gli altri arrivano dopo, se c’è tempo e modo e, in ogni caso, sempre a ragion veduta, dopo attenta valutazione.
Specularmente ha cura della propria casa, della propria auto. Il proprio conto in banca, il proprio lavoro, il proprio stile di vita e status economico-sociale sono custoditi all’interno di un virtuale castello eretto a difesa di affetti e beni materiali, come un signore feudale o un povero mezzadro dell’800 che difende col forcone quel fazzoletto di terra, unica sua fonte di sostentamento.

Di cosa ci sorprendiamo?

Quando qualcosa è pubblico significa intrinsecamente che è sì di tutti ma anche di nessuno quindi destinato ad essere spesso ignorato, vilipeso, trascurato. Oggetto di attenzione il tempo necessario a soddisfare un’esigenza personale, dopo di che… Chi se ne frega?
Questo vale per un giardinetto pubblico con le giostrine e vale per il sistema sanitario nazionale, ad esempio. L’italiano si lamenta dell’incuria o delle liste d’attesa infinite ma non fa nulla per migliorare le cose perché lo sforzo solo in minima parte tornerebbe a suo vantaggio, perché non è compito suo, perché – nel caso della sanità pubblica – in fondo, il sistema è insanabile (sempre per colpa di qualcun altro, ovviamente…).

Come può preoccuparsi un friulano dell’emergenza rifiuti in Campania se alla maggioranza degli stessi campani non interessa?
Come può un siciliano essere in ansia per il futuro di Venezia se ciò non preoccupa in primis i veneti stessi?
Perché un piemontese dovrebbe preoccuparsi dello stato delle periferie di Roma se gli stessi romani (non di periferia) sembrano in gran parte indifferenti?

I giovani italiani emigrano all’estero? L’importante è che in mezzo non ci sia mio figlio.
Risparmiatori azzerati? L’importante è che i miei di risparmi siano al sicuro.
Il vicino di casa ha perso il lavoro perché la sua azienda ha delocalizzato? Io un lavoro ce l’ho… Chi se ne frega?
Così ragiona l’italiano medio.

Il pensare e agire per il Bene comune viene declinato nel concreto (e nemmeno sempre…) – con ampie differenze di grado e qualità tra nord, centro e sud – tendenzialmente nel proprio circoscritto ambito territoriale, dove il singolo può toccare con mano il proprio impegno e goderne direttamente i vantaggi (un quartiere più pulito, il giardinetto ordinato, la raccolta differenziata fatta per bene, il centro parrocchiale funzionante, ecc.). Per il resto, l’italiano medio ha fatto del motto anglosassone [fusion_modal_text_link name=”nimby” class=”” id=””]“Not in my backyard”[/fusion_modal_text_link] uno stile di vita.

Perché i politici dovrebbero agire per il “bene di tutti”?

La verità è che, come detto nell’incipit di questo post, gli italiani non esistono. Esistono, appunto, emiliani, romagnoli, abruzzesi, sardi, toscani e così via, con annessi tutti i livelli contrapposti di atomizzazione a scalare (ferraresi e bolognesi, ferraresi di città e ferraresi della bassa, ecc.).
Questa penisola è un frattalico insieme sterminato di orticelli i cui tenutari si preoccupano, in maggioranza, esclusivamente del proprio qui e ora, del proprio interesse diretto e/o indiretto e null’altro. Non esiste – o è gravemente latitante – un moto individuale che si attivi a vantaggio di un collettivo senza volto e nome (a maggior ragione se iper-spersonalizzato come nella dimensione nazionale). Un’entità quasi astratta, un insieme di genti distanti, diverse, con cui si sente di avere poco o nulla che spartire. Quando si manifesta è perché in qualche modo conviene. Raramente capita in modo disinteressato e autentico.
Quindi, perché i politici italici, espressione di questo brodo di coltura, dovrebbero aver agito o dovrebbero agire per il “bene di tutti”? Sono essi forse alieni piovuti da Marte oppure sono esattamente come noi, come il nostro dirimpettaio, il benzinaio, il negoziante all’angolo? Non sono semplicemente più spregiudicati?
L’amministratore comunale furbetto, il funzionario della municipalizzata corrotto esattamente come il ministro che firma un trattato internazionale sfavorevole al proprio paese, non rappresentano l’italianità fin qui descritta potenziata in negativo da aspetti antisociali? Non sono essi – i politici furbetti e i politici “traditori” – semplicemente italiani che hanno sottomano o si sono procurati la possibilità di arraffare ad alti livelli, di procurare vantaggi a sé stessi e alla loro ristretta cerchia di “clientele” (dal cugino raccomandato, alla lobby finanziaria internazionale di turno) indifferenti alle conseguenze patite dagli altri, visti come meri strumenti per raggiungere i propri obiettivi? Non rappresentano questi figuri lo stereotipo perfetto del principe italico pronto ad aprire le porte all’invasore a patto di mantenere (o accrescere) il controllo sul proprio feudo locale con relativi privilegi ?
È tutto perfettamente in linea con le pagine più tristi della storia di questo meraviglioso territorio.
Perché, allora, ci sorprendiamo del fatto che a questa entità giuridico-amministrativa chiamata Italia è stata sottratta la sovranità economica e politica? Perché ci scandalizziamo del fatto che negli ultimi 40 anni, piano piano, pezzo per pezzo, è stato svenduta buona parte del patrimonio collettivo costruito dalle generazioni precedenti, dal dopoguerra in poi, grazie a utili ladri di polli e scaltri traditori da noi stessi eletti?
Non dovremmo né sorprenderci, né scandalizzarci. È ingannevole pensare agli utili idioti e, soprattutto, ai traditori come “cattivi” e chiudere lì il discorso. Hanno agito e agiscono in certi modi perché di base non esiste un sentimento nazionale in nome del quale sviluppare una solidarietà e un’etica di comunità. Il sentirsi “italiani” e quindi fratelli non c’è mai stato, se non in superficie, a parole, nella retorica patriottica, in miti fondativi farlocchi, mistificati oppure, nel migliore dei casi, a dir poco controversi.
Perché loro dovrebbero rispondere eticamente a qualcosa che non esiste?
Perché dovrebbero o avrebbero dovuto tutelare l’interesse nazionale se siamo noi – i beneficiari di quell’interesse – i primi a disinteressarcene, a non sentirlo?
Abbiamo delegato ad altri la cura del “Bene comune” con quell’approccio noncurante che riserviamo ai giardinetti pubblici, agli arredi urbani, alla vicende del nostro comune di provincia o del quartiere di città.

Ciampi, Prodi, D’Alema, Padoa-Schioppa siamo noi.

Ciampi, Prodi, D’Alema, Padoa-Schioppa siamo noi. Siamo noi in versione deviata, come gli eroi negativi dei fumetti. Sotto il costume, dietro la metamorfosi mostruosa e malvagia, ci siamo noi. Monti, Renzi, Draghi & Co. sono incarnazioni potenziate in negativo del medesimo modello dominante ovvero quell’italiano che non si sente parte di nessuna comunità, che pensa e agisce per il proprio tornaconto, in ossequio ad un’etica del tutto soggettiva.

Punto di svolta?

Oggi siamo, a mio avviso, molto prossimi a un punto particolare della storia di questo paese, il punto in cui, come mai prima, l’interesse del singolo coincide con l’interesse generale e viceversa. Le forze, i poteri, le strutture che fin qui hanno governato gli eventi a proprio piacimento o quasi, sembrano aver perso il controllo della situazione. I mass media, loro braccio armato, annaspano pateticamente nel rincorrere una consapevolezza generale che, magari in modo confuso e contraddittorio, appare sempre più dubbiosa, critica, disincantata. Le devastazioni operate sul tessuto socio-economico non riescono più ad essere camuffate dalle narrazioni lisergiche che per anni hanno funzionato egregiamente. Sembra, insomma, che si stia profilando all’orizzonte una particolare forma di sintonia popolare, trasversale al grosso della società da nord a sud, che non risponde ad una chiamata patriottica, ad una fratellanza rivelata o a dettami ideologici di colpo rispolverati bensì alla prosaica sensazione di essere stati fregati individualmente. Il colpevole, a giudicare dai recenti risultati elettorali e sondaggi quasi quotidiani, sembra essere stato individuato. Completare l’azzeramento del PD e dei suoi satelliti liberisti pro-€uro e UE sarebbe di per sé una grandissima conquista.

Popolo vs Elite

Parallelamente a questa confusa catarsi collettiva, dal mio personale osservatorio vedo una percentuale minoritaria ma qualitativamente significativa di italiani consapevoli che il nemico vero non sia (e non lo sia mai stato in realtà) il vicino di casa, il terrone, il polentone, il senese, il triestino, il dipendente pubblico assenteista o il barista che non fa lo scontrino bensì qualcuno un po’ più sù.  Un segmento di italiani medi sembra aver capito che nel 2018 il destino di un singolo è legato a filo doppio con quello del vicino, antipatico o simpatico che sia, conterraneo o meno, di sinistra o di destra. Un ragionamento da ultima spiaggia, da compagni di trincea, pragmaticamente connesso all’aver ben chiaro il rapporto di forze e le dinamiche in gioco (popolo contro elite) che, a volerci mettere un pizzico di enfasi, si può riassumere in “O ci si salva tutti assieme o tutti assieme affonderemo”.
Non si tratta, quindi, della riscoperta di un orgoglio nazionale, anche se a molti piace dipingerla in questo modo, bensì del risultato di una pluralità di egoismi individuali sintonizzati sulla stessa frequenza, quella del “devo salvarmi le chiappe”, modulata obtorto collo collettivamente. Se questa forma mentis, per così dire “evoluta”, dovesse espandersi potrebbe succedere qualcosa di molto interessante: il sano vecchio egoismo dei mille campanili potrebbe salvare questa nazione che non c’è.
Paradossale, no?

P.S.
Chi scrive rispetta i molti che hanno a cuore Garibaldi e il Risorgimento, Vittorio Veneto, El Alamein, i partigiani, ecc.
D’altronde ognuno è padrone di credere in ciò che preferisce: questa Repubblica tutela la libertà di culto, giusto?

Il campo morfico (o morfogenetico) è un campo di informazione, un campo di coscienza che contiene tutte le informazioni relative ad una determinata specie. E’ un campo quantico a cui tutti sono collegati e con il quale tutti entrano in relazione (risonanza morfica), è una sorta di coscienza collettiva, un’unica coscienza fatta dalla coscienza di tutti gli individui.

Con NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. “Non nel mio cortile”) si indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico o non, che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come ad esempio grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili.

L’atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull’ambiente locale.

Dicesi mito fondativo la favola edificante capace di accreditare una transizione di regime allorché l’anima popolare non sia sufficientemente matura da sopportarne la rappresentazione veridica. Costituiscono il mito fondativo: a) una interpretazione similstorica, che taccia quello che c’è da tacere, inventi quello che bisognerà ricordare, esibisca la necessità della transizione e convalidi le credenziali del nuovo ceto politico; b) l’enunciazione delle soddisfazioni di cui si dovrà appagare l’anima popolare in conformità con il nuovo regime; c) l’obliterazione di ogni diversa attesa dell’anima popolare.
Fonte: http://abele.ilcannocchiale.it/2007/06/22/mito_fondativo.html

Cari patrioti italiani…

…Devoti talebani della Costituzione del 1948, sovranisti anti-UE. Voi che tutto sommato date ragione al governo spagnolo nella questione Catalana e disprezzate qualsiasi indipendentismo, appellandovi alla “Legge”, all’unità nazionale, immergetevi nel racconto che segue e riflettete, riflettete bene: ciò che è legale oggi può poggiare su soprusi, tradimenti e illegalità del passato (l’unità d’Italia, ad esempio…); ciò per cui lottate oggi potrebbe nel futuro essere considerato illegale usando le stesse argomentazioni da voi brandite oggi contro i catalani, i veneti, i sardi, i baschi, i bretoni, ecc.
Riflettete.

Molto tempo fa, esattamente nel giugno del 2026, l’Unione Europea per superare la crisi economica e sociale post 2008 e mettere in sicurezza il crescente malcontento di vasti strati della popolazione del continente, dopo un turbolento processo politico non privo di strappi e forzature anti-democratiche, divenne ufficialmente e in piena legalità una confederazione, cioè una nazione a tutti gli effetti. Per l’Italia, alla cerimonia di firma della nuova costituzione europea tenutasi a Berlino, fu presente l’ultimo premier eletto della Repubblica Italiana indipendente e formalmente sovrana ovvero il Presidente del Consiglio Luigi Di Maio. Ospite d’onore l’Imam della Moschea Grande di Parigi.

Nel 2030 la nazionale di calcio degli USE (United States of Europe) partecipò ai mondiali ospitati dal Giappone. Nello stesso anno la lingua ufficiale della neonata nazione divenne il tedesco, obbligatoria in qualsiasi atto o comunicazione con valore legale. Le lingue nazionali continuarono ad essere utilizzate liberamente nel quotidiano.

Con il passare dei decenni e il ricambio generazionale, gli Stati Uniti d’Europa si radicarono positivamente nell’immaginario collettivo delle genti europee complice la modifica dei programmi scolastici federali, l’attenta manipolazione dei testi di storia contemporanea e la mistificatoria comunicazione istituzionale veicolata attraverso i sempre più pervasivi social network.

Attorno al 2070 tuttavia, in molte regioni della confederazione (Italia e Francia in modo particolare) a causa della situazione economica mai realmente migliorata a dispetto della propaganda governativa e dei deficit democratici congeniti si registrò l’emergere di sentimenti indipendentisti che reclamavano il ritorno agli stati nazionali pre-unificazione, esaltando identità, lingue, usi e costumi ancora vivi nonostante il trascorrere del tempo e l’omologazione culturale. Definite “patetiche e pericolose nostalgie superate dalla Storia” dal governo centrale di Berlino, queste rivendicazioni crebbero in consenso tra le popolazioni creando soggetti politici organizzati che a più riprese presentarono richieste di maggiore autonomia propedeutiche ad una indipendenza da raggiungersi per gradi e in modo pacifico e concordato.

Il 15 maggio 2079 in Italia, a fronte della totale assenza di dialogo istituzionale, si svolse un referendum auto-gestito per manifestare con il consenso popolare il desiderio di indipendenza ormai maggioritario nella regione. Il governo centrale, con l’appoggio della maggioranza dell’opinione pubblica continentale, definendo anti-costituzionale la consultazione e ribadendo la sacralità dell’unità della nazione europea, dopo aver inutilmente ammonito il governo locale sull’illegittimità dell’iniziativa, inviò l’esercito federale a reprimere la manifestazione causando migliaia di feriti in tutte le città e vittime a Milano, Bari e Trieste.
Dopo alcune settimane di altissima tensione, il governo locale italiano rassegnò le dimissioni. Fu sostituito da un governo tecnico che si prodigò a normalizzare la situazione a norma di legge, in ossequio alla carta costituzionale europea del 2026.

Sondaggio all’adunata degli Alpini: Patria, Confini e Sovranità

Sabato 13 Maggio 2017, Treviso.

Adunata nazionale degli Alpini.

Mi son detto: “Ho gli Alpini sotto casa, perché non approfittare dell’occasione per chiedere loro che ne pensano su patria, confini nazionali e sovranità?”
Ho confezionato una specie di questionario con una serie di affermazioni alle quali l’intervistato poteva associare, con una semplice crocetta, il proprio grado di accordo o disaccordo.
In una città invasa da tricolori e, sulla carta, persone decisamente attaccate a determinati valori, ho pescato qua e là le mie “vittime” millantando di essere un incaricato di una agenzia demoscopica a cui era stato commissionato un sondaggio sul tema “A che punto è il sentimento patriottico in Italia?”

Il sondaggio proposto, nelle mie intenzioni, aveva lo scopo di :
– verificare se l’attaccamento e l’appartenenza a certi ideali è coerentemente declinato in varie direzioni quindi strutturato e consapevole oppure se esso è astratto, superficiale e a macchia di leopardo.
– verificare il livello di consapevolezza di un segmento particolare della popolazione italiana su argomenti “caldi” e controversi (dove la disinformazione, le credenze personali e i luoghi comuni la fanno notoriamente da padrone).
– stanare eventuali contraddizioni.

Note:
Gli intervistati erano tutti riconoscibili Alpini al 100% (o simpatizzanti).
Il sondaggio è stato somministrato a 65 persone (58 uomini, 7 donne) con età compresa tra i 30 e i 72 anni, provenienti dalle province di Treviso, Vicenza, Pordenone, Brescia, Bergamo, Trento, Cuneo, Imperia, Bolzano, Torino.

Non posso giurare sulla scientificità statistica del campione utilizzato… Ad ogni modo questo mio esperimento estemporaneo restituisce, a mio avviso, una fotografia interessante della realtà che non si discosta granché dalla media del “sentiment” popolare su determinate questioni con, tuttavia, alcune sfumature interessanti.

Di seguito i risultati.

Affermazione: Il concetto di Patria è un valore da difendere.

concetto-di-patria

Affermazione: i confini tra nazioni oggi andrebbero aboliti.

confini

Affermazione: cedere parti di sovranità nazionale a enti sovranazionali è oggi opportuno.

Affermazione: i problemi economici dell’Italia sono dovuti a un’eccessiva spesa pubblica.

Affermazione: se l’Italia fosse governata da politici stranieri le cose andrebbero meglio.

Affermazione: L’euro e l’Unione Europea sono positivi per l’Italia.

Quesito: il progetto di formare gli Stati Uniti d’Europa è un’idea:

Quesito: per l’Italia, tornare alla Lira sarebbe una soluzione:

“La Patria è un valore da difendere ma se ci governassero gli stranieri le cose andrebbero meglio”

Dando un’occhiata incrociata alle risposte la contraddizione più bizzarra deriva dalla seguente evidenza: il 40% degli intervistati che si sono detti molto d’accordo o abbastanza d’accordo con l’affermazione “Il concetto di Patria è un valore da difendere” allo stesso tempo si è detto molto d’accordo o abbastanza d’accordo con l’affermazione “Se l’Italia fosse governata da politici stranieri le cose andrebbero meglio”.
Si tratta di una grave manifestazione di dissonanza cognitiva?
Oppure siamo di fronte a una perdita totale di fiducia nei politici italiani?
Forse un mix delle due cose.
In ogni caso, a volerla vedere diversamente, certe posizioni filo-europeiste e auto-razziste non sembrano essere così marcatamente maggioritarie come altrove.
Bicchiere mezzo pieno?

Ho scritto il mio primo romanzo

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“Da qui è incredibilmente bello” è il titolo del mio romanzo d’esordio.

Proprio così: ho scritto un romanzo, anche se non sono uno scrittore.
Certo, esiste questo blog ma scrivere un romanzo è un’altra faccenda.

Un bel giorno, esattamente il 28 maggio 2015, ho sentito il bisogno di raccontare a me stesso una storia.
Sì, proprio così: raccontarla a me stesso. Così ho cominciato a mettere in fila parole e non ho più smesso.

La Grecia abbandona i propri figli sotto al Partenone

2 commenti

Quasi nessuno si indigna.
Quasi tutti se ne fottono.
Eppure è violenza allo stato puro, genocidio pianificato e centellinato, conquista coloniale, rapina a mano armata.
Ai più passa del tutto inosservata perché se non ci sono eserciti e bombardamenti non è guerra e quindi non è abbastanza cinematografica come vicenda. Se il tiggì non dice chi è il buono e chi il cattivo in stile Hollywood il meccanismo mentale si inceppa, capire diventa faticoso e non c’è tempo, non c’è voglia, altre cose da fare. E poi c’è l’economia di mezzo: valla a capire tu l’economia… Che noia.
Se non ci sono bambini scheletrici con la pancia gonfia e le mosche negli occhi non è abbastanza fame, non è abbastanza miseria, non è abbastanza Etiopia_we are the world_Save the fucking children_Gino Strada.
Se non ci sono gommoni alla deriva non è abbastanza disperazione.
Se accade in Europa non è abbastanza terzo mondo, non è abbastanza senso di colpa. I bambini non sono abbastanza bambini, i vecchi non sono abbastanza vecchi. I malati non sono abbastanza malati. Le madri non sono madri abbastanza. I morti suicidati non sono abbastanza morti.
Allora, cara Grecia, il tuo problema è che sei “non abbastanza”. Come gli aspiranti attori che non spiccano, bravini ma con la faccia anonima.
Sforzati, diventa una tragedia riconoscibile. Butta nel cesso la dignità e trova un modo “social” per sprofondare.
Inventati qualcosa che crei scalpore, qualcosa di semplice da capire, che non richieda troppe parole, troppi approfondimenti. Potresti spedire i tuoi figli oltremare a bordo dei tuoi pescherecci marci, abbandonare i tuoi neonati sotto al Partenone, sulle spiagge di Corfù; i tuoi anziani moribondi di fronte agli hotel di Mykonos, sulle scalinate a picco sul mare di Santorini. Spendere gli ultimi €uro in benzina e darti fuoco in mondovisione.
Devi impressionare, colpire, tirare pugni nello stomaco a questa €uropa ipocrita e criminale.
Altrimenti qui se ne fottono tutti di te.
Questi “tutti” mica son cattivi eh… Sono semplicemente distratti dai tuoi competitor che possono spendere in marketing e testimonial di grido.
Non prendertela.
Poi, detto tra noi, gira pure voce che te la sei andata a cercare, che un po’ te lo meriti.
Più o meno come le ragazze in minigonna che finiscono violentate in un vicolo… Che ci vuoi fare… La gente è fatta così.

A proposito di “complottismi”…

Il destino dell’Europa era già segnato. Quarant’anni fa.

Più volte nei miei post ho trattato l’argomento “complotti”.
Ad esempio qui e qui.

Ieri mi sono imbattuto in un post a mio avviso illuminante.
Ve ne incollo un estratto per farvi venire l’acquolina in bocca.

Più di quarant’anni fa il destino dell’Europa era già segnato. Tutto scritto. Nero su bianco. Globalizzazione, annientamento della politica, della tradizione e del ruolo delle nazioni.
E condensato in poche pagine, come ama fare il potere.
Nel 1972 il destino dell’Europa (e di noi tutti) fu delineato, con chiarezza e rigore, in un discorso pubblico tenuto da Eugenio Cefis ai cadetti dell’Accademia Militare di Modena il 23 febbraio 1972 (di cui egli fece parte). È il discorso di un maestro rivolto ai propri allievi; parole di chi sa, precise e inappellabili. Un affioramento del vero potere.
Ricordiamo chi fu Eugenio Cefis: già partigiano, dopo la guerra divenne dapprima vicepresidente dell’ENI, e poi, nel 1967, presidente a pieno titolo, sostituendo Marcello Boldrini (che si era insediato nel 1962, alla morte di Enrico Mattei).

Ciò che si evince dalla documentazione riportata e dall’analisi prodotta dall’autore è che chiunque oggi affermi che “i complotti non esistono” (i complotti seri che io chiamo “progettualità)”, ammesso che ci fossero ancora dubbi a riguardo, è in malafede oppure vive nel magico mondo dei Puffi.

Trovate l’articolo al seguente link. Buona lettura.

Il destino dell’Europa era già segnato. Quarant’anni fa.

la pagliuzza e la trave

Mi sono accorto che molti tra coloro sono così attenti a puntare il ditino accusatore verso chi manifesta pregiudizi verso il diverso in genere (straniero, omosessuale, ecc.) girato l’angolo, detesta, snobba, disprezza con tutto il cuore chi si esprime in dialetto, chi ha poca cultura, chi fa l’estetista o la parrucchiera, chi legge poco, chi violenta i congiuntivi, chi viene dalla campagna, chi ha il SUV, chi vota Silvio e declinazioni assortite.
Per queste persone ciò non significa avere pregiudizi: significa fare una semplice constatazione (dicono proprio così).
In realtà, se potessero, caricherebbero tutta sta gente e la spedirebbero in Siberia (posto a caso), oppure, se arrivassero a migliaia su barconi, chiederebbero a gran voce un blocco navale.
Il problema è che l’ipocrisia non consente loro di accorgersi di analizzare le diversità nel medesimo modo che tanto li indigna vedere adoperato dagli altri.
A mio parere, coltivare diffidenza, pregiudizio, timori verso (esempio) chi proviene da una cultura diversa è equivalente a coltivare disprezzo o senso di superiorità rispetto a chi fa l’operaio, a chi non ha una laurea o si veste male o, al contrario, si veste troppo da fighetto. Sono tutte generalizzazioni negative che hanno dei fondamenti di sicuro ma non tutti i musulmani sono Jihadisti, fare l’operaio non significa per niente essere automaticamente un disabile culturale, possedere un SUV non è in rapporto 1:1 con l’essere uno stolto esibizionista.
Purtroppo siamo tutti soggetti al pregiudizio, chi più chi meno, in ambiti diversi, questa è la realtà.
La chiave sta nel come si gestisce questo “difetto” e la consapevolezza che se ne ha.
Ciò che non sopporto è constatare quante persone additano la pagliuzza nell’occhio altrui senza notare la trave di mogano che trapassa la loro scatola cranica, 
dividendo il mondo tra chi semplicemente fa “constatazioni” da una parte (cioè loro ovviamente) e i razzisti-omofobi-xenofobi dall’altra.